Quanto è facile amare chi ci ama? È una domanda che si pone alla base dell’intera vita cristiana. Il nostro istinto, governato dal bisogno di giustizia e di equilibrio, ci suggerisce che l’amore dovrebbe essere reciproco e che il bene dovrebbe essere ripagato con il bene. Tuttavia, nella XIX Domenica dopo la Pentecoste, il Salvatore Cristo ci pone di fronte a un comandamento di radicalità sorprendente, che supera ogni logica umana: l’amore per i nemici.
Il Vangelo secondo Luca (6, 31-36), tratto dall’ampio Discorso della Montagna, non ci offre solo un codice morale; ci chiama a una trasformazione ontologica, a un profondo processo spirituale (duhovnicesc) attraverso il quale dobbiamo assomigliare non agli uomini, ma a Dio.
La Logica Terrena: Il Cerchio Chiuso della Reciprocità
Cristo inizia la Sua predicazione ponendo la base morale universale: “Ciò che volete gli uomini facciano a voi, fatelo anche voi a loro.” Questa è la Regola d’Oro, un principio di equità riconosciuto nella maggior parte delle culture e delle religioni. Tuttavia, il Salvatore mostra immediatamente che questa legge, sebbene necessaria, non è sufficiente per colui che aspira al Regno dei Cieli.
Egli utilizza tre domande retoriche per smascherare i limiti della moralità basata sullo scambio:
- Amore reciproco: “Se amate quelli che vi amano, che merito ne avete? Anche i peccatori amano quelli che li amano.“
- Beneficenza reciproca: “Se fate del bene a quelli che vi fanno del bene, che merito ne avete? Anche i peccatori fanno lo stesso.“
- Prestito con aspettativa: “Se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avete? Anche i peccatori prestano ai peccatori per riceverne altrettanto.“
Attraverso questi esempi, Gesù ci mostra che la reciprocità è la logica fondamentale del mondo decaduto. L’amore motivato dall’interesse, il bene fatto per obbligo sociale, la carità da cui si spera di ottenere benefici (siano essi materiali o d’immagine) — tutte queste sono azioni che si svolgono nel cerchio chiuso dell’umanità decaduta. Non richiedono grazia, ma solo un calcolo razionale dei benefici. Il cristiano è chiamato a uscire da questo cerchio.
Incamminarsi sulla Via dei Figli dell’Altissimo
Il momento cruciale del Discorso arriva con il comandamento radicale: “Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare nulla in cambio; la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è buono verso gli ingrati e i malvagi.”
Questa è la Via Regale, l’unica che conferisce l’identità di figlio di Dio. L’amore per i nemici non è un ideale utopico, ma una condizione per assomigliare a Dio.
Amando colui che ci fa del male, superiamo la semplice morale e iniziamo a lavorare sulla nostra perfezione spirituale (duhovnicesc). Con questo atto, spezziamo la catena causale del male: non rispondiamo al male con il male, ma lo arrestiamo, trasformandolo in potenziale per il bene.
San Giovanni Crisostomo spiega questa dinamica come una vittoria suprema sulla natura umana:
“Infatti, non c’è opera che ti renda più simile a Dio dell’amore per i nemici. Se ami chi ti ama, non hai fatto nulla di grande, perché anche gli esattori delle tasse fanno questo. Ma se ami colui che ti odia, allora raggiungi il rango di Dio.” (San Giovanni Crisostomo, Omelie su Matteo)
La ricompensa, quindi, non è un premio esterno, ma è lo status stesso di figlio dell’Altissimo, l’essere partecipi della natura divina che ama incondizionatamente.
L’Esortazione Finale: Siate Misericordiosi
Il Salvatore ci offre il modello supremo, mettendo in evidenza la fonte inesauribile dell’amore cristiano: “perché egli è buono verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come anche il Padre vostro è misericordioso.”
La misericordia di Dio non è una reazione ai nostri meriti, ma una libera effusione della Sua bontà. Dio fa piovere sia sui giusti che sui peccatori. Egli non ferma il sorgere del sole perché qualcuno Lo ha bestemmiato. Essere misericordiosi significa copiare questo attributo divino, elevarci alla misura della perfezione attraverso l’amore incondizionato e sacrificale.
La misericordia alla quale siamo chiamati non è una semplice emozione, ma uno stato attivo dell’essere. Si manifesta attraverso:
- Il fare il bene senza chiedere nulla in cambio.
- Il prestare senza speranza di recupero.
- L’amare colui che ci fa del male, desiderando il suo bene e pregando per la sua salvezza.
Questo sforzo spirituale ci libera dal legame con il male che ci impone il nemico; finché lo odiamo, siamo legati a lui. L’amore recide quel legame, ci rende liberi e ci avvicina a Cristo.
In conclusione, il Vangelo della XIX Domenica dopo la Pentecoste ci ricorda che lo scopo della vita cristiana è l’assomiglianza a Dio. Cristo non ci chiede solo di essere brave persone, ma santi. Superare la logica umana della reciprocità, amare chi ci odia e mostrare misericordia agli ingrati: ecco la vetta più alta della perfezione che possiamo raggiungere. Preghiamo incessantemente affinché il Buon Dio ci dia la forza di vincere la nostra natura e di diventare, veramente, figli dell’Altissimo.

