Oltre il tesoro terreno: La XII Domenica dopo la Pentecoste e il cammino verso la perfezione

Nel cuore di ogni uomo, indipendentemente dal suo status, dalla sua ricchezza o dalla sua età, si cela una domanda fondamentale: “Che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?” Questo interrogativo non è solo una preoccupazione dei teologi, ma una profonda ricerca spirituale che, prima o poi, tocca tutti noi. La ritroviamo espressa con sincerità e una certa ingenuità nel Vangelo della XII Domenica dopo la Pentecoste, sulle labbra di un giovane ricco, pieno di zelo, che si avvicina al Salvatore Gesù Cristo, cercando una risposta al dilemma supremo dell’esistenza.

Questo incontro, di una bellezza e profondità uniche, non ci offre solo una lezione morale, ma ci rivela una mappa della vita spirituale, divisa in due tappe essenziali: l’osservanza dei comandamenti e la chiamata alla perfezione.


Una domanda, due risposte e un dialogo spirituale

La risposta del Salvatore alla domanda del giovane non arriva subito. Prima, Gesù lo invita a un’introspezione, chiedendogli perché lo chiami buono, per farlo prendere coscienza della Sua divinità. Poi, lo esorta a osservare i comandamenti, elencando quelli del Decalogo: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dare falsa testimonianza, onora tuo padre e tua madre e ama il tuo prossimo come te stesso.

Il giovane, con sorprendente sincerità, risponde di aver rispettato tutti questi comandamenti “fin dalla sua infanzia”. È un uomo morale, un uomo della Legge. Eppure, sente che gli manca qualcosa, che i comandamenti, sebbene fondamentali, non sono sufficienti per raggiungere la pienezza della vita. Cerca di più, cerca la perfezione.

A quel punto, il Salvatore gli offre una risposta che stravolge la logica terrena: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi i tuoi beni, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi, vieni e seguimi”. Queste parole non sono una condanna della ricchezza in sé, ma una chiamata alla liberazione. Il problema del giovane non era che avesse molte ricchezze, ma che le ricchezze avessero lui. Il suo cuore era attaccato alle cose materiali e questo attaccamento gli impediva di seguire Cristo pienamente, di donarsi totalmente.


Il cammello e la cruna dell’ago: Sulla difficoltà di staccarsi dalle cose terrene

La partenza triste del giovane spinse Gesù a pronunciare una delle metafore più scioccanti della Scrittura: “È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel Regno dei Cieli.”

Questa immagine potente non deve essere intesa come un’impossibilità assoluta. Non è un divieto della ricchezza, ma una descrizione della difficoltà estrema di salvarsi quando il cuore è pieno di preoccupazioni materiali, avidità e attaccamento ai beni. Il denaro può diventare un dio, un idolo che richiede tutta la nostra attenzione ed energia.

Tuttavia, le parole del Salvatore non si riferiscono solo ai ricchi in senso letterale. Ognuno di noi ha le sue “ricchezze”: il comfort personale, l’orgoglio, la fama, l’attaccamento al proprio potere o intelligenza. Qualsiasi cosa che diventa un fine in sé, invece di essere un mezzo per servire Dio e il prossimo, può diventare un cammello che non può più passare attraverso la porta della salvezza.


Che cosa ci dicono i Santi Padri? Sulla vera ricchezza

I Padri della Chiesa ci hanno lasciato un’eredità spirituale inestimabile che chiarisce il senso di questo Vangelo. San Giovanni Crisostomo, grande luminare dell’Ortodossia, ci esorta a comprendere che la vera ricchezza non è quella materiale, ma quella spirituale. Egli afferma: “Se dobbiamo dire la verità, non è ricco colui che ha molto, ma colui che non ha bisogno di molto, né è povero colui che non ha nulla, ma colui che desidera molto.”

Questa prospettiva ci ricorda che la povertà non è uno stato del conto in banca, ma uno stato del cuore. Non è un numero, ma un atteggiamento. Un uomo può avere ricchezze immense ed essere, allo stesso tempo, libero spiritualmente, usando la sua ricchezza per fare del bene. Allo stesso modo, un uomo può essere materialmente povero, ma il cui cuore è pieno di avidità e invidia, essendo così un “ricco” nel senso evangelico, incapace di entrare nel Regno dei Cieli.


Una porta che si apre: “Per Dio tutto è possibile”

La discussione si conclude con una rivelazione che porta speranza e chiarisce tutto. I discepoli, stupiti, chiedono: “Allora chi si può salvare?” E il Salvatore risponde loro: “Agli uomini questo è impossibile, ma a Dio tutto è possibile.”

Questa affermazione è la chiave di volta di tutto il Vangelo. La salvezza non è il risultato del nostro sforzo ascetico o della nostra forza di liberarci dalle passioni, ma è un dono della grazia divina. L’uomo può solo desiderare, sforzarsi, desiderare sinceramente la perfezione. Dio, vedendo questa volontà, viene in nostro aiuto e rende possibile la trasformazione che noi, da soli, non possiamo realizzare.

Quindi, il Vangelo del giovane ricco non è un avvertimento cupo, ma un’esortazione alla libertà. Non ci chiede di abbandonare i beni, ma l’attaccamento ai beni. Ci invita a guardare oltre i tesori terreni e a cercare la vera ricchezza: il tesoro in Cielo, che non perisce, non si ruba e che dà senso a tutta la nostra vita. È una chiamata a staccarci da tutto ciò che ci tiene ancorati all’effimero e ad affidarci pienamente, con un cuore libero, alle braccia del Salvatore Cristo.

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