🔥 Il Fuoco della Verità oltre la Porta: Il Ricco Epulone e il Povero Lazzaro – Un Vangelo di Giudizio e Misericordia

Durante l’anno liturgico, i Vangeli domenicali ci pongono davanti agli occhi dell’anima degli specchi duhovnicești (spirituali) in cui possiamo vedere la nostra vera condizione. La XXII Domenica dopo la Pentecoste ci presenta la parabola più sconvolgente e diretta sulla vita oltre la morte e sulle eterne conseguenze delle nostre azioni terrene: La Parabola del Ricco Epulone e del povero Lazzaro (Luca 16, 19-31).

Questo Vangelo è un appello non filtrato alla coscienza, un bozzetto del Giudizio Particolare che ci mostra come il nostro destino non sia sigillato dalla ricchezza o dalla povertà, ma dal modo in cui abbiamo utilizzato le benedizioni e le sofferenze della vita. È una lezione essenziale per ogni cristiano, indipendentemente dal suo status sociale.


1. Le Scene della Vita Terrena: Il Contrasto tra Porpora e Piaghe (v. 19-21)

Il Salvatore Cristo inizia la parabola con uno stridente contrasto tra due esistenze umane che si svolgono a pochi metri di distanza l’una dall’altra, separate non da muri, ma da un abisso interiore: quello dell’indifferenza.

Il Ricco: Schiavo del Bisso e del Festeggiamento Quotidiano

La Bibbia descrive il ricco come un uomo che “vestiva di porpora e di bisso e banchettava tutti i giorni splendidamente.”

  • Porpora e Bisso: Non erano solo abiti costosi; erano simboli del lusso ostentato, indossati da re o dai grandi privilegiati. La porpora (rosso-violacea) era il colorante più caro, mentre il bisso era un lino fine di qualità superiore.
  • Festeggiamenti Quotidiani: Il problema del ricco non era possedere ricchezze, ma vivere tutta la sua vita in una gioia puramente materiale ed egoistica, senza mai alzare lo sguardo dalla sua tavola per vedere i bisogni del mondo oltre il suo cancello. Non è accusato di furto, rapina o crimine palese, ma del peccato di indifferenza – la noncuranza omicida verso il prossimo.

Lazzaro: Il Nome che Grida a Dio

In contrasto, alla porta del ricco giaceva Lazzaro, un nome che, in ebraico (Eliezer), significa “Dio è il mio aiuto”.

  • Povertà e Malattia: Lazzaro era povero, malato (pieno di piaghe) e disprezzato. Non chiedeva oro o argento, ma solo “di sfamarsi con le briciole che cadevano dalla tavola del ricco” – il simbolo di un bisogno elementare, disperato, che non avrebbe disturbato in alcun modo lo splendido banchetto.
  • Il Conforto dei Cani: Le uniche creature che gli mostravano una forma di attenzione erano i cani, i quali “venivano a leccare le sue piaghe”. Questo dettaglio scioccante sottolinea la misura della degradazione umana di Lazzaro agli occhi della società.

San Giovanni Crisostomo avverte che la parabola è proposta non solo per consolare i poveri, ma anche per risvegliare i ricchi: **“Ascoltino i poveri, e non li soffochi più la disperazione; ascoltino i ricchi, e si ravvedano dalla loro malvagità, poiché le due figure – del ricco e del povero, della crudeltà e della fortezza d’animo, dell’avidità e della pazienza – ci sono presentate affinché, quando vedi un povero piagato e disprezzato, tu non lo compianga, e quando vedi un ricco adornato, tu non lo invidi né lo ritenga beato.”**¹


2. Il Capovolgimento dei Mondi: Il Giudizio Particolare e la Vita Eterna (v. 22-23)

Sopraggiunge la morte e, con essa, avviene il grande capovolgimento dei ruoli.

Il Destino di Lazzaro: Nel Seno di Abramo

“E avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo.”

Lazzaro, disprezzato dagli uomini, è onorato dagli angeli e condotto nel “Seno di Abramo”. Questa espressione, presente nella tradizione giudaica, indica il luogo di riposo dei giusti (il Paradiso), un luogo di comunione, gioia e onore. Lazzaro, sebbene non avesse avuto nulla sulla terra, ebbe la cosa più importante: la pazienza e la fiducia in Dio. La sua sofferenza fu accettata con umiltà, trasformandosi in oro duhovnicesc.

Il Destino del Ricco: Il Tormento e la Vista

“Morì anche il ricco e fu sepolto. E nell’inferno, alzando gli occhi, essendo nei tormenti, vide da lontano Abramo e Lazzaro nel suo seno.”

Del ricco si menziona solo che fu sepolto (probabilmente con grande pompa), ma la sua anima giunge immediatamente nei tormenti. Dall’inferno, egli ha però una terribile capacità: la vista. Vede Abramo e Lazzaro, comprendendo la differenza cosmica e irreversibile del loro destino. Il tormento non è solo fisico (“sono tormentato in questa fiamma”), ma anche psicologico e spirituale, derivante dalla consapevolezza dell’errore e della felicità perduta.


3. L’Abisso Grande e il Dialogo Drammatico (v. 24-26)

In questo dialogo sconvolgente, Cristo ci rivela principi fondamentali sul Giudizio Particolare e sul corretto rapporto con la sofferenza.

La Richiesta e il Ricordo

Il ricco, disperato, rivolge due richieste ad Abramo: misericordia personale e misericordia familiare.

Abramo gli risponde, con l’appellativo mite “Figlio”, ricordandogli il principio della giustizia divina: “ricordati che tu ricevesti i tuoi beni nella tua vita, e Lazzaro parimenti i mali; e ora, qui, egli è consolato, e tu sei tormentato.”

Non la ricchezza in sé lo ha mandato all’inferno, ma il fatto di aver ricevuto i “tuoi beni” — cioè di aver esaurito ogni ricompensa sulla terra, vivendo esclusivamente per sé, e di aver rifiutato di usare i suoi beni come ponte verso il Regno dei Cieli. Il ricco ha scelto la terra come destinazione finale.

L’Abisso Irreversibile

Abramo spiega poi la legge immutabile dell’oltretomba: “tra noi e voi è stabilito un grande abisso, affinché quelli che vogliono passare di qui a voi non possano, né di là possano passare a noi.”

L’abisso non è una barriera fisica, ma la conseguenza definitiva delle scelte morali fatte nella vita terrena. La decisione dell’uomo è irrevocabile dopo la morte; non c’è più pentimento né trasferimento di meriti.

San Basilio Magno, grande maestro di misericordia, chiarisce il dovere cristiano riguardo ai beni materiali: **“Non ti è comandato di gettare via la tua ricchezza, ma di dividerla. Non serve a nulla vantarsi della retta fede se le opere non ti accompagnano. Colui che non dona il suo superfluo al bisognoso diventa un assassino del suo fratello.”**²


4. Il Testamento di Mosè e dei Profeti: La Chiamata al Pentimento (v. 27-31)

L’ultima parte del dialogo si concentra sui cinque fratelli del ricco, simboleggiando tutti coloro che continuano a vivere nell’accecamento dell’egoismo.

Il ricco chiede un segno soprannaturale, credendo che un miracolo sensazionale convincerebbe i suoi fratelli più della Legge e dei Profeti (cioè la Sacra Scrittura).

La risposta di Abramo è perentoria ed è un avvertimento valido per tutte le epoche: “Essi hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli. […] Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi neppure se uno dei morti risorgesse.”

Questo passaggio è una chiave di lettura:

  • La Fonte della Verità: Il Verbo di Dio, predicato attraverso le Scritture e la Chiesa, è sufficiente. Non abbiamo bisogno di nuovi segni, di miracoli forzati o di rivelazioni spettacolari per salvarci.
  • Libertà e Volontà: La fede e il pentimento sono atti di libera volontà. Nessuno può essere costretto a credere, neppure dalla comparsa di un risorto. Se l’uomo chiude il suo cuore di fronte alla Verità semplice e chiara della Scrittura (l’amore per Dio e per il prossimo), nessun miracolo lo libererà dalla schiavitù della propria volontà.

San Teofane il Recluso sottolinea: **“Il ricco non ha offeso Lazzaro, né lo ha scacciato dalla porta. Il suo peccato è stato passivo, ma distruttivo: la noncuranza. Si è immerso nelle sue gioie, e la sua vita è stata un ininterrotto ‘io’ e ‘mio’. Questa è la più grande tentazione della ricchezza: considerarsi il centro dell’universo e ignorare la presenza sofferente di Cristo nel tuo prossimo.”**³


Conclusione: La Salvezza è l’Occupazione dell’Oggi

Il Vangelo del Ricco e di Lazzaro ci insegna che il tempo del pentimento è adesso. Non è sufficiente avere la retta fede, ma dobbiamo tradurla in atti concreti di amore.

Il ricco non è stato condannato perché aveva troppo, ma perché ha amato troppo poco; non perché ha mangiato alla sua tavola, ma perché non ha nutrito colui che era alla sua porta.

Per noi, cristiani ortodossi, la parabola ci chiama a:

  1. Crocifiggere l’Egoismo: A fermarci dal “festeggiamento splendido” del mondo e a guardare il nostro prossimo come un vaso in cui si trova il Cristo Affamato.
  2. L’Uso Corretto della Ricchezza: Indipendentemente da quanto abbiamo, i nostri beni sono un dono di Dio e devono essere amministrati come mezzi di salvezza, non come fini in sé.
  3. Ascoltare la Parola: A porre al di sopra di ogni profezia o sensazione duhovnicească (spirituale) del momento la Parola di Dio e il comandamento dell’amore attivo.

La conservazione della fede e la pratica della misericordia non sono un’opzione aggiuntiva, ma l’unica via sicura per assicurarci che, quando gli angeli porteranno la nostra anima, non troveremo tra noi e il Seno di Abramo “l’abisso grande” dell’indifferenza. Amen.


Note a piè di pagina

¹ San Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Parabola del povero Lazzaro e del ricco epulone, (adattamento).

² San Basilio Magno, Omelia sulla ricchezza e la misericordia, Patrologia Greca, Vol. 31 (traduzione libera).

³ San Teofane il Recluso, Commentari ai Santi Vangeli, vol. Luca (adattamento).

Torna in alto