Un uomo disperato, un figlio tormentato e una domanda inquietante: perché non ci siamo riusciti? Il Vangelo della decima domenica dopo la Pentecoste (Matteo 17:14-23) ci catapulta nel mezzo di un profondo dramma umano, dove un padre porta il suo figlio malato a Cristo dopo che i Suoi discepoli non sono stati in grado di fare nulla. Questo passo essenziale della Scrittura non è solo una storia di un miracolo spettacolare, ma una lezione fondamentale sul potere della fede, sul ruolo del digiuno e della preghiera, e sul modo in cui la sofferenza si lega alla salvezza.
Un grido di disperazione e una fede incrollabile
La scena si apre con un padre addolorato che si avvicina a Gesù, cadendogli in ginocchio e gridando: “Signore, abbi pietà di mio figlio, perché è lunatico e soffre molto; infatti, spesso cade nel fuoco e spesso nell’acqua” (Matteo 17:15). Il termine “lunatico” (probabilmente epilettico o affetto da una malattia neuro-psichica) è qui accompagnato da una causa più profonda: la possessione demoniaca. Il tormento del bambino è intenso, mettendo costantemente in pericolo la sua vita.
La disperazione del padre è accresciuta dal fallimento dei discepoli: “L’ho portato ai tuoi discepoli, ma non sono riusciti a guarirlo” (Matteo 17:16). La situazione solleva una domanda cruciale: perché, nonostante i discepoli fossero stati mandati a guarire e scacciare i demoni (Matteo 10:1), hanno fallito in questo caso?
La mancanza di fede: un ostacolo all’opera divina
La reazione di Gesù è sorprendente e diretta: “O generazione incredula e perversa, fino a quando sarò con voi? Fino a quando vi sopporterò? Portatelo qui da me” (Matteo 17:17). Il rimprovero del Salvatore non si rivolge solo ai discepoli, ma all’intera “generazione”, simboleggiando uno stato generale di mancanza di fede e di opposizione. Anche coloro che sono vicini a Cristo, che hanno visto tanti miracoli, possono avere momenti di “poca fede” (cfr. Matteo 14:31).
Subito dopo il rimprovero, Cristo agisce con potenza divina. “Gesù lo rimproverò e il demonio uscì da lui, e il ragazzo fu guarito da quel momento” (Matteo 17:18). Questa guarigione istantanea dimostra l’autorità assoluta di Cristo su qualsiasi forza del male, per quanto radicata essa sia. Non c’è bisogno di riti complicati o di lotte prolungate, ma solo della Sua Parola.
Fede, digiuno e preghiera: le chiavi del potere spirituale
I discepoli, imbarazzati per il loro fallimento, si avvicinano a Gesù “in disparte” e gli chiedono: “Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?” (Matteo 17:19). La risposta di Cristo è chiara e profonda: “Per la vostra poca fede. Perché in verità vi dico, se avrete fede quanto un granello di senape, direte a questo monte: Spostati da qui a là, ed esso si sposterà; e niente vi sarà impossibile” (Matteo 17:20).
Questa affermazione è una delle più potenti sulla fede. La fede non è una quantità, ma una qualità. Non si tratta della grandezza della fede, ma della sua presenza, anche nella forma più piccola, come un granello di senape. Una fede autentica, sincera e incrollabile ha il potere di spostare le montagne, cioè di rendere possibile ciò che sembra impossibile nella logica umana. Essa significa totale fiducia nel potere di Dio, non nelle proprie forze.
Poi, Gesù aggiunge una spiegazione essenziale per la lotta spirituale: “Ma questo tipo di demoni non esce se non con la preghiera e con il digiuno” (Matteo 17:21). Questo non contraddice l’importanza della fede, ma la completa. La preghiera e il digiuno sono gli strumenti essenziali che rafforzano la fede e ci preparano alla lotta contro gli spiriti del male. Essi purificano il cuore, umiliano la volontà e ci avvicinano a Dio, rendendoci vasi più adatti per la Sua grazia. Sono discipline ascetiche che disciplinano il nostro corpo e la nostra anima, liberandoci dalle dipendenze e aprendoci a una comunione più profonda con il Creatore.
La profezia della sofferenza e la vittoria della resurrezione
Il passo evangelico si conclude con un brusco cambio di tono. Mentre attraversavano la Galilea, Gesù parla ai Suoi discepoli del Suo destino: “Il Figlio dell’Uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini. E lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà” (Matteo 17:22-23). I discepoli, sebbene “si rattristarono molto”, non comprendono ancora pienamente il senso del sacrificio e della resurrezione.
Questa profezia, posta subito dopo la guarigione del bambino, non è casuale. Collega il tema della sofferenza umana (quella del bambino tormentato) alla sofferenza suprema di Cristo sulla croce e, soprattutto, alla Sua vittoria attraverso la Risurrezione. La salvezza non viene senza sacrificio, e il vero potere, inclusa la capacità di scacciare i demoni o di spostare le montagne, sgorga dalla partecipazione alla Croce e alla Risurrezione del Signore.
Lezioni per la vita cristiana di oggi
Il Vangelo della decima domenica dopo la Pentecoste ci invita a una profonda auto-analisi:
- Verifica la tua fede: Quanto è profonda la nostra fiducia in Cristo? Crediamo veramente che Lui possa fare ogni cosa, anche quando la situazione sembra senza speranza? Cerchiamo una fede viva, attiva, anche se all’inizio è “grande quanto un granello di senape”.
- Riscopri la preghiera e il digiuno: Questi non sono semplici “obblighi” religiosi, ma potenti armi spirituali, indispensabili nella lotta contro le nostre passioni e le influenze del male.
- Affronta la cecità spirituale: Siamo consapevoli della nostra “poca fede” e della nostra “perversità”, chiedendo al Signore di guarirci da esse.
Non dimentichiamo che Cristo è sempre presente nella nostra vita, pronto a incontrarci nelle nostre sofferenze, chiedendoci solo fede e chiamandoci a una vita di preghiera e digiuno. Attraverso questi, non solo sconfiggeremo i nostri demoni, ma diventeremo anche noi strumenti della Sua grazia per coloro che ci circondano. Sei pronto a prendere il tuo “granello di senape” di fede e a vedere le montagne che si spostano?

